MI ha molto colpito l’outing di SANGIOVANNI che ha scelto di fermare la macchina per ripigliarsi un attimo la vita.
FERMATE IL MONDO, VOGLIO SCENDERE !!!
Voi siete giovani e non ve lo ricordate, ma esisteva una pubblicità, a fine anni 60, nella quale il mitico Ernesto Calindri, seduto ad un tavolo opportunamente posizionato in mezzo al traffico romano, pronunciava questa frase mentre sorseggiava un notissimo amaro al carciofo.
“Contro il logorìo della vita moderna, bevi Cynar !!!” così recitava la pubblicità.
E quando ho letto della decisione di Sangiovanni, un po’ me lo sono immaginato a sedere in mezzo a quel traffico che è simbolo del vortice in cui versa la discografia tutta, figlia dell’onnipresenza mediatica imposta dalle piattaforme di streaming e dai social per i quali, se per caso ti piglia un raffreddore e ti assenti due giorni soltanto, per l’opinione pubblica te la stai passando già male.
Noi che ci occupiamo di comunicazione da anni, sappiamo che per essere buoni promoter occorre avere basi di discreta psicologia attraverso la quale animare l’animale artista così restio a sapersi mettere in discussione. Il buon comunicatore deve saper risollevare gli animi quando le cose vanno così così, ma deve essere altrettanto bravo a riportare l’artista coi piedi per terra quando appare evidente la tendenza a voli pindarici chiaramente fuori luogo.
Di depressione ne aveva già parlato nel suo libro Ghemon (che per altro è nuovamente uscito allo scoperto sull’argomento recentemente sui social), Levante, ma soprattutto ha fatto scalpore la decisione presa da Sangiovanni, l’astro partorito da Amici di Maria De Filippi che per due anni tutto ciò che ha toccato si è trasformato in oro o quasi. E poi che è successo? Non ci è dato sapere esattamente cosa sia accaduto, quel che appare evidente è che un Sanremo vissuto non propriamente da protagonista, probabilmente ha scaraventato il ragazzo in un tal baratro da convincerlo a rivedere i piani: scusate mi fermo un attimo, ha detto, e quando lo ha fatto io avrei voluto abbracciarlo.
Lo avrei voluto fare per due motivi: il primo per un senso paternalistico che da una certa età in poi ti piglia e quanto succede tu non ti puoi più sottrarre dal manifestarlo. Il secondo perché mi è parsa una scelta intelligente quella di non abbassarsi a questo gioco al massacro promosso da questa «industria musicale attuale che ti porta ad avere un modo di pensare ed agire inquinato dal culto dei numeri e dei sold out che sta determinando più danni di quelli che il pubblico può vedere. Risultati che nascondono un mondo di bugie e false aspettative in cui, purtroppo a rimetterci, sono un sacco di ragazzi». (cit. Ghemon)
La sindrome da paura del successo, la depressione da successo, l’inibizione al successo sono forme dovute a più o meno velati sensi di colpa, che mettono l’artista nella condizione di ricercare attivamente un processo di autopunizione catartica.
E come dice Ghemon: «Abbiamo bisogno dei dischi di un altro Tenco, non del suo tragico finale. Lo dico perché magari potevo essere io se non avessi tenuto botta».
Ecco, perciò tieni botta Sangio e, se necessario, chiedi aiuto.