Come fa Spotify ad influenzare i nostri gusti musicali?

Settembre 20, 2024

VI SIETE MAI CHIESTI COME FUNZIONINO REALMENTE LE PLAYLIST SU SPOTIFY?

Perché è ormai evidente quanto la chiave del successo di Spotify rimanga sicuramente la varietà delle sue playlist dinamiche e personalizzate create dall’incontro tra Intelligenza Artificiale e Apprendimento Automatico (Machine Learning).

Ma come funzionano gli algoritmi di Spotify? Ci fanno davvero scoprire nuova musica o ci imprigionano nell’ennesima bolla digitale? Aiutano effettivamente gli artisti indie o ci forzano a preferire i cataloghi delle major?

Calma!

Esistono 3 tipi di playlist:

  1. Quelle generate dagli utenti
  2. Quelle generate dall’algoritmo di Spotify
  3. Quelle create dalle Major

I dati che mi sono ritrovato tra le mani certificano che sono le playlist autogenerate dall’algoritmo che aiutano l’utente a scoprire nuova musica e che possono portare alle stelle anche artisti minori. Ma non solo. Questo algoritmo è talmente intelligente che capisce con un margine di errore minimo se siamo inclini alla sottoscrizione di un abbonamento premium o meno. Su Facebook o su Instagram l’algoritmo tende a chiuderci in una bolla di contenuti strettamente in linea con i nostri gusti, creando un effetto cassa di risonanza che ci isola invece che farci sentire più connessi.

Questo vorrebbe dire che anche su Spotify siamo dunque destinati a seguire lo stesso genere musicale? Non può essere così dal momento che Spotify ha come interesse economico primario quello della diversificazione degli ascolti. Per Spotify più ascolti musica varia e maggiori sono le probabilità che tu possa convertire il tuo abbonamento da base in premium.

Per ogni utente, l’algoritmo di Spotify crea più identità. Le preferenze d’ascolto di una persona variano infatti non solo per genere musicale, ma anche in base all’attività che stiamo svolgendo, all’ora del giorno, al mood. L’obiettivo è quello di acquisire abbastanza dati per poter predire in maniera sfumata cosa ci piace ascoltare a seconda delle circostanze. Spotify analizza i nostri comportamenti e li rapporta ad ascoltatori simili a noi, studia i testi delle canzoni e ovviamente le tracce, compreso tempo, durata, ballabilità della canzone, ecc.

All’interno di ogni Major Discografica esiste uno staff organizzato apposta per la creazione di playlist editoriali, ma attenzione: si tratta di playlist create da profili musicali tematici, a prima vista non riconducibili alla major. Il segreto sta tutto lì. E’ una strategia atta alla creazione di playlist all’interno delle quali spingere le tracce dei propri artisti bypassando il famigerato algoritmo.

Come dicevano in Gomorra: ’Mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ’o nuost’.

Ho letto un articolo nel quale si dimostrava quanto gli ascolti musicali sulle piattaforme siano ormai concentrati su brani vecchi per più del 70 per cento dei casi. Questo significa davvero che si ascolta preferibilmente musica vecchia rispetto a quella nuova? Non esattamente. Il “catalogo” nel gergo dell’industria musicale è tutto il prodotto discografico più vecchio di 18 mesi. E per quanto in classifica si trovino anche successi degli ultimi 2 o 3 anni, difficilmente si incontrano pezzi più vecchi di così.

Altro tema è quello delle major che sempre più spesso acquistano i cataloghi dei grandi artisti: si sono formate addirittura società finanziarie ad hoc che si occupano esclusivamente di questo tipo di compravendite. In questi giorni si parla della probabile cessione del catalogo Pink Floyd alla Sony per svariati milioni di euro. Chi investe in questi grandi cataloghi musicali lo fa sapendo che l’investimento verrà ripagato nel lungo periodo.

La summa di quanto finora detto in questo articolo è che Spotify ha lavorato in questi anni per un modello di Intelligenza Artificiale che sappia anticipare i gusti musicali degli utenti, ma le incursioni della stessa Intelligenza Artificiale nel mondo della musica aprono le porte a scenari distopici.

Quel che è certo è che oggi esce troppa musica, e quindi chi ha potere sulle playlist ha potere sul mercato.

Alla fine, come si dice in questi casi, vince sempre il banco.

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