«Quando non sai cos’è, allora è jazz!».
Lo scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, autore televisivo, critico musicale, conduttore televisivo e conduttore radiofonico torinese, Alessandro Baricco, scrisse questa celebre frase nel suo monologo teatrale intitolato “Novecento”, pubblicato da Feltrinelli nel 1994. E a proposito di jazz, come tutti i generi musicali, anche questo genere considerato dai più elitario e di nicchia ha dovuto fare i conti con l’emergenza pandemica legata al Covid-19, segnatamente in Italia.
Purtroppo, da un anno a questa parte, numerosissimi concerti e festival jazz sono stati annullati a causa del Coronavirus.
Nonostante ciò, per cercare di fronteggiare il problema, si è dato vita a moltissime iniziative che hanno consentito ai jazzisti di dar loro voce e di ovviare, perlomeno in minima parte, a una situazione pesantissima, ai limiti del sopportabile. Svariati, ad esempio, gli eventi in streaming organizzati da alcuni fra i più autorevoli musicisti jazz (e non) del Belpaese, soprattutto durante il serratissimo lockdown, proprio in modo tale da non lasciarsi annientare da questo drammatico disagio.
Ma non solo: la resilienza di alcuni titolari e gestori di club, in particolar modo nel 2020, è stata davvero commovente.
Questo perché, nonostante le mille difficoltà economiche e logistiche concernenti le restrizioni imposte, riguardanti la forzata capienza ridotta dei locali, hanno strenuamente continuato a investire sulla buona e vera musica pur di reagire di fronte a una vera e propria tragedia culturale, sociale ed economica. Loro ancor più lodevoli ed eroici nell’assumere un atteggiamento propositivo, proprio perché il jazz, già in condizioni di normale vita quotidiana, è troppo spesso (ingiustamente!) relegato a un ruolo di secondo piano rispetto ad altri generi musicali con molto più appeal.
Quest’anno, al momento, purtroppo regna ancora l’incertezza sull’organizzazione di tantissimi festival, specialmente quelli meno prestigiosi in confronto alle storiche rassegne jazz nazionali.
Proprio per questo, specie i politici, dovrebbero mettersi la mano sulla coscienza e consentire agli organizzatori di attrezzarsi in maniera adeguata per permettere lo svolgimento di piccoli e grandi eventi in totale sicurezza. In Italia, lo sanno pure i sassi di fiume, la cultura, la musica e l’arte in generale, in primis per colpa di una classe politica di infimo livello, godono della stessa considerazione di una zanzara morta nelle campagne di San Pancrazio Salentino.
Dunque è doveroso (ri)aprire i battenti anche (e soprattutto) per tutti quei jazzisti che, nella stragrande maggioranza dei casi, calcano palchi per cachet al limite del ridicolo.
Sia chiaro, a scanso di equivoci, fortunatamente non è sempre così, ma sovente i musicisti jazz, coloro che lo fanno di professione, suonano per compensi risibili a costo di portare la pagnotta a casa. Quindi, ben vengano i concerti in streaming, ma sortiscono solo un effetto placebo, una sorta di palliativo in assenza di altro. Oggi, dunque, la speranza è che questo incubo termini prima di subito, per poter (ri)tornare a sognare, a sorridere, a farsi pervadere dalle vibrazioni interiori, a donare e a ricevere emozioni come accade realmente soltanto nei live.
Anche perché il jazz, se non è dal vivo, che jazz è?
a cura di
Stefano Dentice