Come arriva la discografia a questo Sanremo?

Gennaio 31, 2025

SIAMO ALLA VIGILIA DI SANREMO …

Ma siamo in grado di capire come ci arriva la discografia in questo primo quarto del nuovo secolo?

Il Global Music Report lancia proclami di rinascita inequivocabili: crescita del settore del 10% nell’aggregato mondiale dell’ultimo anno, ricavi in continuo aumento dopo gli anni bui del file sharing napsteriano. Ok il download pare morto definitivamente, ma lo streaming segna un +10,4% e persino cd e vinili paiono in crescita del 13%.

Ho visto gente raggiante alla Milano Music Week, ho annusato entusiasmo lungo tutta la filiera, grazie a nuovi investimenti lussureggianti ed anche grazie ad una nuova colonia di popstar che ha scalzato per interesse tutta una classe di artisti dominante nel decennio passato, ma ora caduta un poco nel semi-dimenticatoio.

Come tutto questo gaudio possa coesistere col malumore che serpeggia in qualunque altro evento dell’industria musicale è difficile da spiegare.

E’ difficile, leggendo i report scritti da IFPI, capire come sia possibile per esempio che diversi artisti super osannati grazie a milioni di streaming mensili si vedano costretti ad annullare il tour per il mancato verificarsi delle condizioni economiche atte a sostenerlo. Come può essere possibile che si stiano moltiplicando le percentuali di artisti che per oltre vent’anni hanno campato del loro lavoro ed ora non riescono a sbarcare il lunario. Come può essere possibile che tantissimi lavoratori dello spettacolo si siano trovati più volte a manifestare in piazza in tutto il mondo per gettare allo scoperto le difficoltà economiche in cui il settore ha versato durante la pandemia.

Avete notato quanto si sia accentuato il gap tra i costi e i tempi di realizzazione di un disco e la stampa dello stesso? Questo ha portato il mercato del vinile ad una situazione di impraticabilità al di fuori di quelle nicchie che noi per comodità identifichiamo come “collezionisti” e nulla più. Tutto ciò ha contribuito a trascinare in una situazione di sfiducia generale quei consumatori che ormai vengono trattati come una componente sempre più marginale del mercato, fermo restando che invece, fino a prova contraria, essi dovrebbero risultare come i principali finanziatori dello stesso.

I prezzi dei concerti pare confermino questo status: biglietti che ormai costano tre volte il prezzo di qualche anno fa, tanto che se un concerto estiva non va sold out entro 48 ore dalla messa in vendita dei biglietti, il fatto viene recepito all’interno della filiera come uno smacco inenarrabile.

Come possono quindi un tale ottimismo ed un tale pessimismo coesistere?

Si spiega col fatto che musica ed industria musicale NON SONO LA STESSA COSA.

O meglio, da quel che si percepisce, l’industria musicale è probabilmente il principale antagonista della musica.

Ne è la sua nemesi, l’esatto di tutto ciò che ha significato la parola Musica fino a poco tempo fa.

Ovviamente l’industria musicale è nata per servire la musica, diffondendola e supportandola, ma una volta acquisita una vita propria al di fuori della musica stessa, è stata costretta a sconfessare la propria ragione d’essere per ricercarne un’altra, formalmente uguale, ma radicalmente diversa nella sostanza: ha dovuto cioè ricreare una musica ex-novo, una propria idea di musica su cui l’industria, e, badate bene, soltanto lei, possa esercitarne il controllo assoluto, producendola e diffondendola alle proprie condizioni, per quanto ciniche e paradossali possano apparire.

La musica sarebbe una teoria un bene di scambio relativamente semplice: ci sono quelli che amano suonarla e ci sono quelli che amano ascoltarla. I due gruppi di persone entrano in contatto in modi diversi e in quell’incontro avviene uno scambio che può essere monetario. Se però guardiamo ai fatturati, la quantità di denaro generata da questo scambio è ormai divenuta irrisoria. Il resto dei soldi serve ad annaffiare un ecosistema che l’industri musicale ha costruito intorno a sé per garantirsi la sopravvivenza. Per farlo ha dovuto armarsi di un esercito di faccendieri, intermediari e specialisti, la cui frammentazione rende oggi impossibile giustificarla sulla base del commercio della musica. Ed ecco che allora il prodotto musica è stato reso più complesso: alla musica è stato aggiunto IL MITO DELLA MUSICA (pensate a tutti i dischi dei Beatles che escono ogni 12 mesi, o alle fantomatiche reunion tipo quella dei Pooh che avviene ogni anno); è stato aggiunto L’EVENTO MUSICALE, tipo un raduno sociale grazie al quale migliaia di persone si ritrovano in uno stesso luogo, ma nel quale al contempo la musica pare avere un ruolo marginale. Quando ci sono i Festival Estivi quel che si vende non è tanto la musica quanto “l’esperienza” che, per assurdo, spesso è pure al limite delle sopportazioni umane, con caldo insopportabile, cessi chimici maleodoranti, calca umana intollerabile, ecc.

Questo processo di branding non è diverso da ciò che accade in altri settori del consumo contemporaneo. La mancanza di relazione diretta tra la prosperità di un settore e quella di chi in quel settore ci lavora è una piaga contemporanea che va oltre il bisogno di ascoltare dischi.

Il fatto è che La Musica viene vissuta ancora come una specie di impiego ideale che ricalca i sogni di bambino. Inoltre l’Industria Discografica non ha quasi mai dovuto preoccuparsi dell’intrusione di un sindacato.

Artisti e band sono abituati a competere tra loro e a pensarsi come nemici e concorrenti diretti. Tutto ciò ha fatto si non si creasse una solidarietà di categoria che invece negli altri settori pare scontata.

La classe media dell’artigianato musicale è in ginocchio a causa di oziosissime questioni legate alla spartizione degli introiti nello streaming, alla oscurità nella spartizione delle royalties e a causa di contratti (che magari risalgono ad anni ed anni fa) su cui gli artisti non hanno diritto di parola. Spotify incamera i soldi sotto forma di abbonamenti premium e la stessa Spotify viene accusata dai musicisti di pagare troppo poco in termini di royalties. Il budget di Spotify si salva grazie al mercato azionario. Ma fino a quando?

Il sistema dello streaming pare accontentare e scontentare tutti, il download è praticamente morto mentre il mercato fisico, nominalmente in aumento, ha già ricevuto tre o quattro estreme unzioni.

Dunque potrebbe anche essere che in realtà ci si trovi alla vigilia di una apocalisse imminente nel mercato musicale.

Nell’attesa di ciò che accadrà, buon Festival di Sanremo a tutti.

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