SONO RIMASTO MOLTO COLPITO DA QUESTO ARTICOLO DI REPUBBLICA: “I pub di Londra stanno chiudendo”.
Come è possibile che stiano chiudendo i piccoli locali londinesi, teatro di momenti musicali live epocali negli anni passati, proprio ora che i grandi concerti nelle arene e negli stadi stanno vivendo un momento di così grande splendore?
Pur rimanendo concentrato sulla comunicazione all’interno del mercato discografico italiano, negli anni 90 ero un giovane promoter che guardava all’Inghilterra con sempre forte ammirazione e riflettevo fortemente sulle differenze:
In Italia infatti per suonare nei club prima dovevi diventare famoso alla radio. In Uk per approdare alla radio, prima dovevi farti il culo suonando nei club.
Un percorso inverso che denotava anche una maggiore crescita sul campo da parte delle band anglosassoni e la conseguente British Invasion era anche figlia di un terreno fertilissimo all’interno del quale lievitava quella che noi negli anni 70 avevamo etichettato come “contro-cultura”.
In buona sostanza, mentre mi sbattevo a tentare di convincere il Linus di turno a mettere in onda alcune canzoni alla radio, la mia testa volava a chissà quali eventi live presso la Hacienda di Manchester (teatro della nascente club culture) o chessò al Marquee Moon in Covent Garden. Ero convinto (e tutt’ora lo sono), che solo in un locale come era stato il CBGB si sarebbe potuto fare realmente la differenza.
Ed ora, mentre impazza il nuovo trend della vendita on line per eventi che si terranno tra un anno e più, mentre “UN Qualsiasi Signor Qualunque” può annunciare faraoniche date negli stadi italiani, succede invece che a Londra i piccoli club stanno chiudendo.
Ma perché viene permesso questo?
Vi siete mai domandati se sarebbero mai nati i Beatles senza il Cavern di Liverpool e che cosa ne sarebbe stato di Boy George, degli Spandau, degli Ultravox e di tutto il movimento New Romantic se Steve Strange non si fosse messo a fare il “buttafuori” al BLITZ KID dove al massimo ci si stava stipati in duecento e non di più?
Secondo il rapporto annuale del Music Venue Trust, il 2023 è stato l’anno peggiore di sempre con una media nel Regno Unito di due locali chiusi a settimana.
Il margine di profitto di questi locali era solo dello 0,5 per cento mentre molti di questi hanno registrato delle perdite tanto da dover abbassare per sempre le serrande.
E in Italia? Eh in Italia questo trend noi lo abbiamo avviato già da almeno 9 o 10 anni, da quando cioè è apparso Spotify ed è cambiato letteralmente il modo di fruizione della musica.
Ma almeno, per una volta, non si potrà dire che siamo arrivati dopo gli inglesi e gli americani.