Anche quest’anno ci sono dentro fino al collo, quel collo dove, nonostante tutto, non ho appeso alcun pass.
La mia collezione che presentava una fila sterminata di pass dal 1989 sino al Festival dell’anno scorso, ieri ha subito una battuta d’arresto.
Eppure sono qui, dalla mia finestra del Hotel Des Anglais vedo il mare laggiù in fondo, la consueta passeggiata che a sinistra porta prima al Casinò e poi all’Ariston, mentre a destra conduce dritti in Francia e basta. Insomma, eccomi qui, ci sono. Anche quest’anno faccio parte di quest’ingranaggio che per almeno 7 giorni mi aveva abituato ad essere proiettato in una sorta di tour organizzato in un girone infernale qualsiasi. Per anni mi ero abituato ad aggirarmi per gli hotel ed i teatri con questo tovagliolo al collo che era il simbolo del potere: più decorazioni verdi, rosse e gialle avevi impresse come lustrini sul pass, più contavi qualche cosa.
“Ah vedi quello”, pensavamo guardandoci l’un l’altro, “ha il pass per le prove ma non per i camerini, quindi vuol dire che lui non conta gran che”. Insomma sono qui a Sanremo e tutto è tranquillo, non ho dovuto nemmeno calarmi nel classico pigia-pigia della sala dove i pass te li consegnavano, per anni proprio dietro all’OVS di corso Matteotti, ma più recentemente in una viuzza verso il mare dove di notte si incanalava la movida alla ricerca di un selfie con Toto Cutugno o Albano pescati in ristorante davanti ad un piatto di moscardini.
Aaaaaahhhh quanto mi mancano le discussioni ed il confondermi tra personaggi incredibili i quali, pur strozzati da cravatte a pois color pistacchio, non perdevano occasione di strillare dal fondo della coda verso gli addetti Rai i quali almeno cento volte si saranno domandati “ma a me chi me lo ha fatto fare”. E invece ora guardami qui a pensare a quanto mi manchino quei momenti in cui tra la consegna di un pass a Sanremo, e quella di una ricciola al mercato dl pesce di Bari, non v’era alcuna differenza.
Ma allora scusate, che cosa mi avete chiamato a fare se non mi date nemmeno un pass da appendermi al collo?
Quel pass che era controllato anche con macchine che scannerizzano il tuo codice barcode e che tu esibivi col petto gonfio di orgoglio, ora non c’è più.
Quel pass che se ti chiedevano di prestarlo cinque minuti piuttosto la morte, ora non c’è più.
Quel pass che se ti facevano la foto al momento della consegna e non mettevano quella per cui per anni avevi combattuto, ora non c’è più.
Quel pass che ti permetteva addirittura di arrivar fino al retropalco dove avevi assistito a liti memorabili tra cantanti, manager, discografici e presentatori, ora non c’è più.
O perlomeno io non ce l’ho.
E nulla, resterò qui nella mia stanzetta d’hotel a lavorare da remoto, a organizzare o coordinare interviste e conferenze online, attenderò gli artisti nella hall di ritorno dall’Ariston dopo l’esibizione, ma non chiederò loro come è andata ma domanderò loro soltanto una cosa: “Ve l’hanno controllato il pass al momento del vostro ingresso”? …