I CONTI IN TASCA Perché i grandi della musica stanno vendendo i diritti sulle loro canzoni?

Febbraio 2, 2023

Da Bob Dylan ai Beach Boys,da Justin Bieber a Neil Young, un sacco di artisti leggendari sta cedendo i propri diritti sulle canzoni a editori musicali e società di investimento. Perché?

 

Ma che sta succedendo alla musica, me lo dite?

Ad inizio millennio abbiamo registrato un collasso repentino del formato fisico del disco a fronte di una pirateria che soprattutto in Italia ha toccato vertici storici. Poi con l’avvento delle piattaforme di streaming legale, la musica ha trovato soprattutto sul live il maggiore foraggio ed è stato quello il momento in cui i grandi artisti hanno preferito creare una propria squadra gestendo i diritti discografici ed editoriali in proprio. I manager del live sono diventati i personal assistant effettivi dei grandi artisti, infatti Madonna, nel marzo del 2012 ha pubblicato l’album MDNA su etichetta Live Nation. Sarà quello il momento più buio per le grandi major del disco che per farla franca, acquisiscono grandi gruppi manageriali legati al booking allo scopo di restare comunque dentro alla partita.

Ma a cambiare ancora una volta le carte in tavola ci si mette di mezzo qualcosa che chiunque di noi mai si sarebbe potuto aspettare: una pandemia.

Di colpo la macchina musica si ferma, i tour previsti per l’anno in corso vengono sospesi, rinviati o annullati. Chi ha comprato un biglietto viene rimborsato oppure attende con santa pazienza che tutto questo inferno finisca. Esplode qualunque cosa sulla rete, i concerti, il meta-verso, si rispolverano nuove edizioni aggiornate di Second Life, Spotify crea un palcoscenico virtuale sulla rete dove ospitare musica, gli sponsor investono sul web, fioccano nuove app come Clubhouse che diano alla gente un senso di condivisione del “mal comune mezzo gaudio”.

In quel momento molti artisti fanno un passo (o forse due) indietro e, dal momento che non possono più suonare chissà fino a quando, si volgono nuovamente verso le major e chiedono loro: “Senti, come era quella proposta che mi avevi fatto e che non avevo accettato sei anni fa?”.

Nel bel mezzo del lock down chi ha le spalle più larghe per sopravvivere va a caccia di contenuti pagandoli a peso d’oro e chi può permetterselo, ne approfitta.

E’ da questo momento che inizia una messe di cessioni illustri di cataloghi da parte di artisti epocali a gruppi editoriali all’interno di multinazionali o a società di investimento, come per esempio Hipgnosis Songs Fund, il fondo di investimento inglese che offre agli investitori una esposizione pura alle canzoni e ai relativi diritti di proprietà intellettuale musicale. L’obiettivo è costruire un portfolio diversificato, acquisendo cataloghi costruiti attorno a brani di comprovata importanza culturale di alcuni dei più importanti cantautori a livello mondiale.

E così Hipgnosis si mangia praticamente tutto: acquisisce, tra gli altri, mezzo catalogo di Neil Young per 150 milioni di dollari, e la cosa è sorprendente dal momento che il vecchio Neil si era sempre opposto a soluzioni di questo tipo, prendendo in giro anche colleghi famosi, come Michael Jackson, Whtiney Housto o Eric Clapton, che invece lo avevano fatto.

Il capo di Hipgnosis dichiara di essere riuscito a convincere Neil Young rassicurandolo sul fatto che le sue canzoni non saranno mai utilizzate per pubblicizzare un fast food. Ma come spesso accade, quando un apripista così sospettoso, ma credibile, cede alle lusinghe, ecco che si crea immediatamente la fila al botteghino. E così dopo Young anche Mark Ronson, Timbaland, Barry Manilow, Blondie, Shakira procedono alla cessione del proprio catalogo e relativi diritti. Pure Nile Rodgers lo fa, ed anzi entra persino nel comitato esecutivo della società.

Investitori a caccia di guadagni sicuri su canzoni intramontabili, che non risentono delle fluttuazioni finanziarie, partecipano a una vera e propria corsa all’oro, l’ultima tendenza di un mercato musicale stravolto dai tempi di incertezza, dalla diffusione dello streaming e dalla mancanza degli introiti da concerti a causa del Covid.

Già nel 2019 erano stati spesi oltre 4 miliardi di dollari per acquisizioni di cataloghi musicali e appare evidente che questo trend creerà una bolla all’interno della editoria musicale. Questa rincorsa inarrestabile ai diritti determina una impennata con valutazioni superiori anche di venti volte sui cataloghi di artisti che abbiano lasciato un segno negli anni 70-80-90.

Riassumendo, se siete artisti importanti e ancora ci state pensando, ecco 5 motivi validi per decidere di negoziare o meno i vostri diritti:

  1. Punto Primario altresì denominato dal sottoscritto “Effetto Spotify”: l’esplosione delle piattaforme di streaming e i dati da esse generati (oltre che dai download) hanno prodotto una crescita sulle valutazioni delle canzoni. Grazie a ciò ora è molto più facile capire quali sono i brani di successo, anche in prospettiva futura.
  2. Il Secondo Punto prende in esame i tassi di interesse e l’inflazione che in fase post pandemica ha ripreso a galoppare: i risparmi sui bassi tassi di interesse permettono di poter acquisire più canzoni con gli stessi soldi, almeno fino a quando non cresce la competizione determinando un aumento dei prezzi. Più o meno come nel settore immobiliare quando i tassi sui mutui risultano particolarmente convenienti. I cataloghi musicali non dipendono da variazioni di mercato e per questo possono garantire buone rendite.
  3. E poi ci sono le tasse sulle plusvalenze: perché se una royalties determina un reddito, la vendita del proprio catalogo costituisce una plusvalenza, e si sa, le tasse sulle plusvalenze sono molto più basse rispetto a quelle su reddito. (Biden ha deciso di aumentare del doppio le tasse nei confronti di chi guadagna oltre un milione di dollari e questo ha fatto si che molti artisti si siano convinti a cedere i propri diritti).
  4. Il Punto Quattro altresì denominato “Effetto Covid”: come dicevo poco sopra, prima del covid il 90 per cento dei guadagni di artisti storici era determinato dagli introiti legati ai concerti. Con l’arrivo della pandemia i tour sono stati cancellati e quindi non potendo più capitalizzare coi concerti, perché non mettersi al sicuro vendendo il proprio catalogo?
  5. Last but not least: grandi artisti sono scomparsi recentemente senza lasciare alcuna indicazione in merito alla spartizione dei propri beni ai potenziali eredi. Si sa quanti artisti abbiamo creato relazioni coniugali e rapporti familiari complicati. Onde evitare litigi fratricidi con contenziosi aperti per anni e anni in tribunale, molti artisti hanno deciso di capitalizzare dalla vendita del proprio catalogo, un consistente gruzzolo che risulterà più facilmente spartibile quando gli stessi passeranno a miglior vita.

Gli esperti sostengono che questa situazione non potrà durare ancora a lungo, in effetti ci fu qualcuno di veramente importante che dichiarò apertamente di “non conoscere nessun artista che non si sia poi pentito di aver ceduto i diritti delle proprie canzoni a terzi”.

Solo che al momento in cui scrivo non mi ricordo bene chi fosse ….

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