Ogni progetto che si prefigge di disegnare una “nuova società” ha bisogno di maestri, i quali sono da ricercare in un territorio molto più ampio e al di fuori dei contesti istituzionalizzati, parliamo di scrittori e scrittrici, poeti e poetesse, registi e registe, ma anche e soprattutto musicisti e musiciste.
Il potere della musica è immenso e questo ce lo insegna la storia: basti pensare alla musica come espressione dei movimenti sociali degli anni 60.
Oggi, alle pressioni del mercato che pretende di fissare dall’alto gusti, mode e stili di vita, esistono e si impongono con gran voce le proteste delle giovani generazioni.
Ma c’è da chiedersi: l’impatto delle proteste di oggi è così forte come lo è stato negli anni 60?
La risposta è ampia e non può essere pienamente argomentata in questa sede, ciò su cui ci soffermiamo è appunto, il potere che potrebbe avere la musica in tale contesto.
È chiaro che per essere considerat* artista non è necessario esporsi politicamente, la musica non deve sempre diventare un veicolo di protesta, ma è anche vero che l’unione delle parole e delle melodie ha un grande potere intrinseco: concretizzare i pensieri.
Ognuno di noi attribuisce a quelle parole e a quelle melodie ciò che più percepisce meglio e questo significa che innanzitutto la musica ha la capacità naturale di esprime valori che possono essere a sua volta condivisi e creare un’identità collettiva.
E allora, la musica ha ancora oggi questa funzione?
Fortunatamente ci sono artisti che hanno l’immensa capacità di toccare temi sociali con delicatezza e stili musicali impressionanti, ma come mai questi artisti sono di nicchia e la musica Main Stream (non tutta sia chiaro e per fortuna), si dedica legittimamente solo a creare testi e musiche orecchiabili e canticchiabili?
Forse perché la società di oggi ci permette di avere più espressioni della nostra personalità, nella fattispecie due, che potremmo definire: “l’io della cameretta” e “l’io del profilo social”.
Il fatto di essere continuamente e immediatamente giudicat* con un click, il potere che ha oggi un like, il potere che ha oggi il numero dei followers e molto altro ancora… potrebbe porre un limite ad artisti che avrebbero tanto da dire e che effettivamente dicono a loro stess* nella loro cameretta, ma che per paura del giudizio immediato tengono per sé e conseguentemente preferiscono non esporsi.
Potremmo sintetizzare questo concetto citando Willie Peyote: “Ma mi spiegate perché in ogni cosa che fate quando vi schierate si trasforma in una gara a squadre?”.
Forse dovremmo cercare di creare meno squadre contrastanti, sfruttare il potere dei mezzi di comunicazione di oggi eliminando il giudizio immediato e superficiale da tastiera e imparando ad ascoltare, sviluppando un pensiero critico e personale.
Forse solo così ritorneremo a dare importanza ai testi delle canzoni e forse solo così l’artista si sentirebbe più liber* di prendere posizione in quel modo delicato e stiloso citato sopra.
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