È uscito oggi, venerdì 30 novembre, “Paradiso (Lucio Battisti Songbook)”, l’album in cui Mina reinterpreta le canzoni più belle del magistrale cantautore, di cui quest’anno ricorre il ventennale dalla scomparsa.
“Paradiso” perché, come spiega la celebre artista, “per un’interprete cantare le canzoni di Lucio è un’esperienza celestiale”.
L’album, che potete ascoltare di seguito in streaming, include delle interpretazioni già edite di Mina dei più famosi brani del duo Battisti-Mogol, con l’aggiunta di due canzoni mai registrate prima, che aprono rispettivamente il formato CD e il vinile, ovvero “Vento nel vento”, arrangiata da Rocco Tanica, e “Il tempo di morire”, arrangiata da Massimiliano Pani. Sono stati recuperati anche due brani non più facilmente reperibili, a suo tempo inclusi nell’antologia fuori catalogo “Mazzini canta Battisti” (“Perché no” e “Il leone e la gallina”).
L’edizione in CD di “Paradiso – Battisti Songbook” contiene inoltre alcune rarità: cinque canzoni di Battisti interpretate in spagnolo e una interpretata in francese.
Tutte le tracce sono state riversate in digitale dai nastri originali, editate, restaurate, rimasterizzate e rimixate da Celeste Frigo, sotto l’attenta supervisione di Mina, che ha seguito personalmente da vicino l’intera operazione: Cinque canzoni vedono l’aggiunta della programmazione e delle tastiere di Ugo Bongianni e Massimiliano Pani, e tra gli arrangiatori compaiono anche Victor Bach, Gianni Ferrio, Detto Mariano, Pino Presti, Gian Piero Reverberi, Gabriel Yared.
“Paradiso – Battisti Songbook”,
racchiuso in una elegante e raffinata confezione curata come sempre da Mauro Balletti e da Giuseppe Spada. Nel libretto dell’edizione in CD e sulla copertina dell’edizione in vinili è ripresa la lettera che Mina scrisse su “Liberal” il 28 settembre 1998 a Lucio, qualche giorno dopo la sua morte. Ve la riportiamo qui di seguito:
” Caro Lucio,
questa è una lettera che volevo scriverti da tanto, tanto tempo. Ogni volta che sentivo un tuo pezzo, ogni volta che qualcuno, per strada, fischiettava qualcosa di tuo mi veniva voglia di mettermi in contatto con te, ma ho preferito rispettare (figurati se proprio io non lo dovevo fare…) il tuo desiderio di essere lasciato in pace.
E forse ho fatto male, sai? Perché adesso non so come fare per restituirti, almeno in parte, la gioia, la tenerezza, il senso di invincibilità, la coscienza di fare qualcosa di perfetto che mi dava il cantare i tuoi pezzi. Erano come il più inattaccabile meccanismo, come l’arma più efficace, come una corazza lucentissima, come una seconda pelle ancora più aderente della prima.
Erano costruiti con quella apparente semplicità, con quel naturale delizioso totale mood cosmico, che fa pensare alla fluidità di Puccini, al prezioso andamento di certi canti gospel. E insieme così piantati nella tradizione della canzonetta italiana da far cantare i garzoni mentre vanno in bicicletta a consegnare il pane, i bambini e tutte le madri d’Italia mentre preparano il pranzo per i propri cari.
Che talento straordinario, che dono raro quello di essere capiti da tutti e da tutti essere amati proprio per quello che realmente si è. Sei stato il più grande nel realizzare il miracolo che ci fa sentire tutti figli della stessa materia, che ci fa cantare tutti insieme con le lacrime agli occhi.
In questi giorni ho dovuto assistere a qualche intervento sgradevole e a tanti, tantissimi omaggi commossi e sinceri. Voglio ricordarmi soltanto questi. Voglio ricordarmi gli occhi lucidi di ragazzi giovanissimi e di uomini e donne anche più che adulti. Voglio ricordarmi i tuoi, che Dio li benedica, ti hanno difeso con la forza dell’amore da tutto il caravanserraglio massmediatico.
Voglio ricordarmi quei piccoli mazzolini di fiori, quei bigliettini che ti hanno portati anche loro, credo, per cercare di restituirti un pochino di quello che tu hai dato a tutti noi. Sai, avevo un sogno. Una pazzia. Insieme con Moreno, un giovane corista molto bravo che tu non hai conosciuto, ma che ti ama almeno quanto me, avevamo deciso che se tu mai avessi fatto di nuovo un concerto, saremmo venuti a farti il coro. Per il grande piacere di stare dietro di te e cantare insieme a te quelli che sono i nostri perfettissimi, storici, splendidi, adorati pezzi di vita. E, nella nostra follia, avevamo già pensato alla scaletta, a quali pezzi fare, alla formazione dell’orchestra, persino ai vestiti. Ogni volta che ci incontravamo in sala di incisione aggiungevamo qualche dettaglio al nostro progetto. Tutto era variabile tranne la presenza di due soli coristi: noi due, per l’appunto. Non importa. Vuol dire che la cosa è soltanto rimandata.
28 settembre 1998 (19 giorni dopo la morte di Lucio Battisti)
Originariamente pubblicato dal settimanale “Liberal”
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