Il power duo musicale Mora & Bronski, al terzo album, sforna “50/50”.
Fabio Mora e Fabio “Bronski” Ferraboschi, rispettivamente voce e chitarra acustica, 100/100 emiliani, in questo nuovo album affrontano in 16 indimenticabili pezzi, il grande patrimonio della musica afro-americana e folk, in un viaggio tra le Americhe che – alternato a canzoni originali – attraversa classici del Blues, Country, Folk e Rock’n’Roll, cercando di mantenere la stessa radice sonora.
E non è questione di chiedersi se son gli stessi due componenti (voce solista e bassista) della famosa pop band de I RIO che in una carriera ventennale li ha resi famosi al grande pubblico italiano grazie ad un’attività colma di produzioni discografiche, successi radiofonici e un’intensa attività live – perché sì, solo loro – ma con un progetto acustico parallelo che arriva alla radice dell’American Music, da sempre parte del loro nutrito bagaglio musicale e che era solo in attesa di essere espressa nel momento ideale.
Ed è da qui che partiamo, per andare a capire con Fabio Mora, quando i loro animi guerrieri hanno capito che erano diventate delle pop star, ma che nel contempo, non poteva chiudersi così il cerchio.
Cos’è che mancava a I RIO, per sentire di dover dar voce alla necessità di un viaggio concomitante come questo?
<<Mancava la parte oscura della luna, perché bene o male ognuno di noi, dentro ha qualche ombra. Per anni con I RIO abbiano esternato solarità ed energia buona, ma ognuno di noi ha degli scheletri nell’armadio e qualcuno improvvisamente torna a morderti le calcagna, finché non gli dai voce. Ne I RIO c’è un certo tipo di struttura, mentalità che si sposava e si sposa con un immaginario ben definito; ma nel cassetto erano anni che erano relegati altri pezzi di noi, ed è tornata fuori la voglia di impadronirci di qualcosa di primordiale. Di quello che in fondo ci aveva smosso da sempre. Ed è riaffiorato, a pelle, il blues. Siamo entrati in un mondo diverso nel momento giusto. Il resto non affonda, stiamo continuando a scrivere e a portare avanti delle cose anche per I RIO, anche se io sono sempre stato quello che scriveva meno di loro; troppo sole, troppa estate. Io sono un clown, mi gratifica far sentire bene gli altri, ma ho bisogno anche di sondare ed esternare i lati oscuri e a questo punto della nostra vita avevamo bisogno di entrambe le facce della medaglia>>.
Vi siete sempre trovati d’accordo su tutto, tu e Bronski, o qualcosa, negli anni, ti è dovuto andar giù per mantenere l’equilibrio? Vale anche viceversa…
<<Non andiamo quasi mai d’accordo, ma ci conosciamo da così tanto tempo che a volte basta un grugnito che in un attimo ci capiamo. Abbiamo due scritture completamente differenti, due modi di sentire la musica diversi, doti tecniche diverse e un sentire difforme che ci mette spesso in discussione. Ma è anche la nostra forza. Lui, che sembra tra i due il più orso, è in realtà la luce del duo, un po’ come il TAO: lui è il bianco e io sono il nero. Il bene e il male. Non a caso il disco si chiama 50/50 e racchiude molta della spiritualità appartenente al mondo Mora & Bronski. E diciamo pure che quando lui decide che è un ‘NO’, il suo è un ‘NO’ molto fermo. Ci metto sempre qualche giorno per circuirlo…>>
Preceduto dal singolo radiofonico “Spaghetti blues”, questo terzo album è colmo di collaborazioni e guest d’eccezione. E un mondo di collaborazioni, equivale a un pezzo di vita, a un “viaggio” per ognuna di loro: quale, tra tutte, quella che rimarrà davvero indelebile?
<<Sicuramente, non posso fare differenze con nessuno, ma una – la collaborazione con Deborah Kooperman – mi ha colpito particolarmente. Questa meravigliosa settantenne, folk singer statunitense, cresciuta a Greenwich Village, amica di Bob Dylan e Richie Havens, che ha suonato con Guccini all’Osteria delle Dame. Suo padre frequentava i mostri sacri del folk americano e trovarsela in studio, frequentarci nel periodo di registrazione, andare a mangiare una pizza insieme, mi ha emozionato molto. “This Train” è stata fatta e rifatta da tanti, ma sentirla cantare e suonare da lei, con lei come allora, in quel contesto e in quel momento, è stato come fare un salto indietro di cinquant’anni, quando usava quella tecnica che solo loro usavano e che poi anche Guccini ha importato e utilizzato sui suoi primi dischi. Magico>>.
Quale sarebbe il colore per descrivere meglio 50/50 se ti dicessi che non vale dirne due e non vale nemmeno il bianco e nero?
<<Il grigio, sicuramente una scala di grigi. Del resto, non continuano ad inventarne di nuove di sfumature? E non solo di nero>>
Reggio Emilia, a quale posto della musica e della vostra anima assomiglia di più?
<<Io ho i piedi ben attaccati a terra. Sono nato a Gualtieri, sulle rive del PO, con un chilometro e mezzo di boschi prima di arrivarci e son cresciuto con l’acqua, legato a quello. Mi considero un cittadino del mondo e non so bene dove sia la mia casa, ma se devo pensare ad un luogo che mi ha veramente formato è quella terra lì, quella bagnata dal PO. Anche I RIO vengono da lì. Il fiume ha influito molto>>.
Allora Fabio ti lascio lanciandoti un sasso (e aspettando che tu finisca di ridere). Una risposta multipla: a Sanremo ci andreste? A) sì da turisti – B) magari, fosse vero – C) neanche di passaggio; nemmeno dovessimo andare a Nizza, o fosse una casella del monopoli.
<<Assolutamente sì! Ho vissuto il pop e il commerciale, ho amato Festivalbar e mi è dispiaciuto finisse, perché a Festivalbar parlava davvero la musica. Forse Mora & Bronski non sono un progetto per lo spettacolo tipico di Sanremo, ma perché no, assolutamente non sarebbe un problema, anzi!>>
Quindi, con generosità e simpatia accendiamo la ‘B’?
<<Vada per la B>>.
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