Sempre più di frequente nel nostro lavoro ci capita di imbatterci in artisti che non hanno ancora trovato il modo di mettersi il cuore in pace sulla questione legata ai social.
“Ah! se non sono in tour e non ho in promozione alcun brano, piuttosto che scrivere cagate, preferisco non farmi vivo sui social!”.
Ovviamente questo è un ragionamento sbagliato per due motivi:
1) il mercato attuale ti costringe ad essere presente costantemente. Se ti prendi due mesi per scrivere un nuovo disco senza tenere acceso nel frattempo il fuoco sacro della comunicazione attraverso i social, non ricevendo tue notizie per l’opinione comune te la starai passando male, con conseguente danno alla tua immagine.
E 2) I social sono la fonte migliore attraverso la quale diffondere le notizie che ti riguardano. Se tu non alimenti la tua fan-base costantemente, l’algoritmo del tuo social preferito terrà conto del calo di attenzione riscontrato da parte dei tuoi fans e ti farà scalare nelle retrovie della classifica dei potenziali “influencer” della musica. Per cui …
CARI MUSICISTI APATICI DIGITALI CONVERTITEVI o quanto meno fatevene una ragione !!!
Se i grandi capi di stato non convocano più conferenze stampa preferendo lanciare i loro proclami attraverso i social, un motivo di sarà.
Kevin Kelly ha recentemente scritto un articolo su Wired sottolineando il concetto che anche solo 1000 “veri fans” potrebbero essere sufficienti per sostenere qualsiasi carriera.
Il concetto parrebbe molto semplice: se 1000 veri fan comprassero tutto ciò che un artista propone, questi potrebbe guadagnare 100 euro da ogni fan ed incassare 100.000 euro in un anno, cosa di cui, sostiene Kelly, la maggior parte dei musicisti sarebbe felice.
Oppure si può sempre tentare di fare come suggerisce tale Li Jin, un osservatore del sito di abbonamento e-mail Substack, il quale sostiene che la teoria dei “1000 super fans” sarebbe basata sull’altruismo o fandom. Per tale motivo, sostiene Li Jin, probabilmente sarebbe più semplice trovare 100 fans che siano disposti ad investire 1000 euro a testa per acquistare o supportare i progetti partoriti in un anno dal nostro artista.
Recentemente un articolo apparso su Popjustice ha portato alla luce un caso diametralmente opposto.
Ricorderete la vincenda di Martin Shkreli salito ai vertici della cronaca in quanto accusato, nel 2015, di aver aumentato vertiginosamente il prezzo del Daraprim, un farmaco utilizzato per curare il cancro e l’AIDS. Nel 2015 è stato arrestato dall’FBI per frode finanziaria e il suo ruolo di leader della Turing Pharmaceutical affidato a Ron Tilles, ma prima che accadesse ciò il nostro eroe si era fatto notare per aver acquistato l’unica copia del settimo album dei Wu-Tang Clan intitolato “Once Upon a Time in Shaolin”.
Quel disco costò all’imprenditore poi caduto in disgrazia, la somma di 2 milioni di dollari e l’obbligo di non poterlo commercializzare fino al 2013.
So a cosa state pensando ora: se ogni artista scrivesse dischi composti ad hoc per chiunque disposto ad investire una certa somma a favore dell’esclusività dell’opera, probabilmente torneremmo a vivere una sorta di Nuovo Rinascimento. Perché se è vero che tra il 1400 e il 1500 i casati e papi si contendevano le opere esclusive di Leonardo, Michelangelo e Raffaello, alla stessa maniera potrebbe essere che oggi famiglie facoltose, collezionisti o società di investimento decidano di acquistare in esclusiva assoluta il prossimo disco di Calcutta o dei Pinguini Tattici Nucleari ???
Solo in questa maniera cari artisti apatici digitali potreste risolvere la vostra naturale avversione da social, ma mentre cercate il prossimo vostro sponsor/investitore conviene che vi diate da fare con ottimi piani editoriali da mostrare sui vostri profili.
Ma attenzione, il concetto chiave non è tanto la presenza in rete, ma la connessione. Che se si è presenti, ma non connessi, allora si è soli.