LILY ALLEN HA DICHIARATO CHE GUADAGNA PIU’ SOLDI CON LE FOTO DEI SUOI PIEDI CHE CON SPOTIFY, E ALLORA HO CAPITO CHE DOPO AVER TOCCATO IL FONDO ABBIAMO INIZIATO PURE A SCAVARE !!!
Benvenuti nel curioso mondo della musica del ventunesimo secolo, dove le leggi del mercato discografico si sono evolute in modi che avrebbero fatto storcere il naso anche a Darwin. È un mondo in cui Lily Allen, cantautrice britannica di talento, guadagna più soldi vendendo foto dei suoi piedi che con la sua musica su Spotify. Se pensavate avessimo toccato il fondo, state tranquilli: abbiamo iniziato a scavare.
Ecco in sintesi 5 ragioni semplici perché ciò accade:
1) L’insostenibilità dello streaming.
Cominciamo con la questione centrale: la remunerazione degli artisti sulle piattaforme di streaming. Spotify, con i suoi milioni di utenti e una libreria musicale vasta come l’oceano, si è rivelato un gigante dai piedi di argilla (pardon, Lily). La piattaforma paga una frazione di centesimo per ogni stream, il che significa che solo gli artisti con centinaia di milioni di ascolti possono vivere decentemente dei loro guadagni. Gli altri? Beh, si devono accontentare delle briciole, o meglio, delle pagnotte di merda di cui parlava Veronica Lucchesi de La Rappresentante di Lista che a @rockol ha dichiarato: “C’è un’industria musicale che sforna merda come fossero pagnotte di pane. Non è quello che pensiamo debba fare la musica. La musica è sempre arte. E anche quando è struggente e parla di sentimenti è sana, ma quando porta a spegnere il cervello è come un “apri la bocca e mangia sta minestra”
2) La caduta della sacralità della musica.
Ciò che una volta era considerato sacro, ossia la musica come forma d’arte, ora è ridotto a un algoritmo e a numeri che danzano su uno schermo. La passione, l’ispirazione e il sudore che gli artisti mettono nella loro musica sono diventati merce di scambio per un ascolto frettoloso e distratto. Così, mentre le canzoni vengono consumate come fast food, ci si chiede se stiamo perdendo la vera essenza della musica.
3) L’ironia del successo non musicale.
Ma torniamo a Lily Allen e ai suoi piedi. L’ironia della situazione è evidente: una cantautrice con anni di carriera alle spalle scopre che il mercato valorizza più una parte del corpo che la sua arte. È un riflesso grottesco del nostro tempo, dove l’immagine e l’apparenza spesso superano il contenuto e la sostanza. Non è solo Lily Allen; altri artisti si sono rivolti a fonti di reddito alternative, come il merchandising, i contenuti esclusivi per i fan e, sì, anche le foto dei piedi.
4) La corsa alla visibilità.
In un mercato sovraffollato, ottenere visibilità è diventato più difficile che mai. Gli artisti devono competere non solo con altri musicisti, ma con influencer, youtuber e celebrità di ogni sorta. La musica, una volta l’unico mezzo per esprimersi, è ora uno dei tanti strumenti in un arsenale di auto-promozione. E così, mentre le note si mescolano ai selfie e ai video virali, ci chiediamo: la musica è ancora l’obiettivo principale o è diventata un accessorio?
5) La responsabilità delle piattaforme.
Non si può negare la responsabilità delle piattaforme di streaming in questa situazione. Pur offrendo una vetrina globale per gli artisti, hanno anche creato un ecosistema in cui è difficile, se non impossibile, emergere senza compromessi. Le politiche di remunerazione devono cambiare, e rapidamente, per garantire che gli artisti possano continuare a creare senza dover ricorrere a metodi di guadagno alternativi che rasentano l’assurdo.
E dunque….
Pensavamo di aver toccato il fondo, ma come dimostra la storia di Lily Allen, stiamo ancora scavando. La musica, una volta considerata una delle più alte forme d’arte, si trova ora in un mercato che sembra apprezzare più le apparenze che la sostanza. È tempo di ripensare il valore che attribuiamo alla musica e di sostenere gli artisti in modo che possano continuare a creare arte senza dover vendere pezzi di sé stessi, letteralmente o figurativamente. Forse, solo allora, riusciremo a risalire dal buco che abbiamo scavato.
In attesa che la bolla imploda …